11 gennaio 2014
Quello di Gezi non è stato solo un movimento di protesta. È stata anche un’adunata spontanea dalla quale sono nati gesti solidali, fantasiosi, umoristici, e perfino performance artistiche.
Si è sviluppata, da subito, una sorta di “creatività estetica” del movimento che ne è diventata la narrazione, il registro specifico. L’immaginazione, insieme al il taglio romantico e artistico della protesta, l’ha distinta dai movimenti di piazza del resto del mondo, specialmente da quelli della primavera araba a cui spesso la protesta di Gezi è stata accostata.
Ci sono stati momenti difficili da dimenticare, per il loro impatto suggestivo e per il messaggio forte che hanno incarnato. Come, ad esempio, la danza sufi dei dervisci rotanti inscenata da alcuni manifestanti, che sul volto indossavano una maschera antigas.
Per molto tempo in Turchia i sufi sono stati considerati eretici. Nel 1925 le loro tekke (i monasteri in cui i sufi celebrano la sacra danza rituale, il sema) sono state chiuse da Atatürk che ha messo al bando le confraternite durante il processo di modernizzazione laica della Turchia. Ovviamente, neanche in quei periodi i sufi hanno mai smesso di danzare insieme al suono del ney e della musica rituale.
In seguito riammessi, i dervisci rotanti da sempre hanno esercitato, con il loro misticismo, un’enorme influenza. Malgrado le proibizioni dell’Islam sulla musica e sulla danza, i dervisci hanno fatto di questi strumenti la chiave per aprire la porta verso la comunione con Dio.