Turchia, un po' di chiarezza
Questi giorni leggo giudizi facili sui fatti turchi, che non tengono conto della realtà complessa.
Condanno Erdogan e la brutalità della sua polizia, ma invito a non cadere nella trappola dell'Islam cattivo contro i democratici "buoni".
Erdogan ha saputo rilanciare l'economia turca con un governo forte, sì, che finora però non si era mai spinto a tanto.
E, in fondo, faceva comodo a tutti, il benessere economico dei dieci anni turchi. Certo, pian piano l'Islam è diventato più ingombrante, mano a mano che il consenso di Erdogan aumentava insieme a una visione sempre meno democratica e più personalista. Ma non si può parlare di ditattura del decennio di Erdogan bensì di un governo autoritario che solo negli ultimi tempi ha iniziato a virare verso personalismi pericolosi che hanno condotto alla ferita di Gezi Park.
Non è l'Islam, quello di Erdogan, ma uno strano miscuglio di Islam e capitalismo occidentale.
Si torna ai fondamenti islamici, ma si applicano le regole occidentali dello sviluppo e del consumo, molto lontane dalla "povertà" a cui invita la religione. L'Islam è severo quanto il cristianesimo, verso l'accumulod i soldi e ricchezze.
Quindi si tratta di un Islam "corretto", come da noi sono state "corrette" le tensioni cristiane.
Poi, quando si inneggia ad Ataturk, non scordiamo che, se mai ci fu un vero ditattore, fu proprio lui. Le sue proibizioni superarono di gran lunga quelle di Erdogan.
E allora propongo di riflettere su come sia il laicismo che la religione vadano liberati dal vizio di autoritarismi che poco c'entrano con la visione dell'uomo libero.
La Turchia è un paese passato da Ataturk a Erdogan, due facce estreme, una più, una meno, una soltanto negli ultimi anni, di uno stesso problema: una tolleranza reale verso la diversità.
E allora non dimentichiamolo, mentre, giustamente, condanniamo l'orrore di questi giorni.
Non dimentichiamo il modello turco che negli ultimi dieci anni è stato comunque accettato da tutti.
E non dimentichiamo che, finora, molti hanno tollerato le virate filoislamiche perché garantivano comunque benessere per tutti.
Detto questo, io sono con loro, con i manifestanti.
Ma non voglio vedere analisi raffazzonate che non tengono conto del modello turco, e del suo passato.
In attesa, nel parco
13 giugno 2013
Non riesco a dormire. I miei amici in Turchia resistono, manifestano. ci sentiamo via chat. Sono preoccupata. gezi park è pericolosa. non è come piazza taksim, non ci sono vie di fuga, lì. Nel ventre buio del parco, se la polizia attacca, si muore. non c'è scampo. E' l'unico momento in cui, il 2 giugno, ho avuto paura. ho pensato, in mezzo alla calca festosa, che se la polizia avesse attaccato allora il parco sarebbe diventato un inferno. un pensiero che ha accelerato il cuore. E ora il cuore si ferma, sospeso, sul crinale di un attimo fra cui si decide la vita e la morte. loro non si fermeranno. lo so. E neppure Erdogan lo farà, lo temo. non dormo. ho paura. Sono lì, con il cervello, con il cuore, con la pelle. Con tutta l'anima mia.
I giorni di Gezi Park
8 giugno 2013
C'ero, nei giorni della polizia e dei lacrimogeni. C'ero e ho visto con i miei occhi. Ho visto ragazzi manifestare in pace, riuniti a Taksim, a Istiklal e a Gezi Park, per proteggere quegli alberi ma sopratuto per proteggere la loro libertà di espressione.
C'ero e ho visto uomini e donne, ragazzi e ragazze, tutti uniti da un filo comune, che si chiama solidarietà. Istanbul, la mia Istanbul, sta cambiando. Non so come finirà, ma so che è appena iniziata.
"All'inizio fu un albero", recita un foglietto appeso su uno dei tronchi del parco.
E quell'albero è diventato una foresta, e una foresta è diventata una città, e una città è diventata un pianeta intero.
Non ho visto violenza, ma solo tanta voglia di esprimersi, manifestare, come accade in ogni paese democratico.
Quando la polizia non attacca, Taksim è un luogo di festa. Si canta, si balla, si mangia. Ci si ritrova insieme sotto uno scopo comune.
Liquidare la faccenda come scontro tra musulmani e laici sarebbe pericoloso, e superficiale.
La storia è molto più complessa, come complessa è l'anima turca.
Di sicuro, soffia un vento ribelle. Ma è un vento buono, come il vento di Istanbul.
Non ho avuto paura mai, neanche di notte, neanche nel centro del parco, in mezzo alla folla.
Molti dormivano lì con le tende, per proteggere il verde e scongiurare il pericolo di uno shopping center.
Facevano i turni, dalla mattina alla sera.
Sono ancora lì.
Ho amici cari fra i manifestanti.
Amici che studiano, fanno i giornalisti, lavorano al cinema.
Fanno parte dell'anima laica, figlia di Ataturk, che vuole continuare a essere tale.
Non so come finirà ma so che sono giorni importanti, decisivi, in cui il popolo turco scrive la storia.
E spero che sia una storia bella, con un lieto fine.
Nella piazza di Eminonu
16 maggio 2013
La piazza di Eminonu è un posto magnifico per assaporare le atmosfere di Istanbul. Si incrociano persone di ogni tipo, che vanno e vengono, come le onde del mare.
Donne velate, uomini con i baracchini ambulanti, che vendono simit, gli anelli di pane. Mercanti, turisti, visitatori. Dalla Moschea Nuova entrano ed escono persone, ogni giorno, ogni momento.
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