Questa non è la mia Istanbul

 
 
 
 
 
Mi sono innamorata di Istanbul dodici anni fa. Da quel momento non l’ho lasciata andare mai più. Ho due “polmoni” che mi danno ossigeno, uno è il deserto del Sahara, l’altro è Istanbul. Uno è la terra della mia anima, l'altra è la città del mio cuore. Ma in questa città rischio di non venire più. Ẻ passata  una legge folle che prevede la cattura dei 4 milioni di randagi che popolano la Turchia, e la soppressione di quelli ritenuti aggressivi o malati. Ritenuti pericolosi da chi? Da municipi compiacenti? Da veterinari stanchi? Da cittadini infastiditi? Troppa arbitrarietà, troppa vaghezza.
Per non parlare poi dei presunti “canili” di cui la Turchia è quasi sprovvista, luoghi che diventano carceri in cui si muore di fame, di sete, di inedia. E quindi? Che si fa con i cani in esubero? Si sterminano, ovviamente!
 Accelerata la corsa in Parlamento perché d’estate, si sa, si è tutti più stanchi, più distratti. Ma i turchi sono scesi in piazza, hanno dato vita a manifestazioni che mi hanno ricordato l’incendio dei cuori che si sono riversati ovunque nei giorni di Gezi Park.
Perché se all’epoca di trattava di salvare 600 alberi a Istanbul ( e non sono stati abbattuti, alla fine), stavolta si tratta di salvare 4 milioni di randagi.
Il problema è che Istanbul – che guarda caso  è sfuggita alle mani di Erdogan nelle ultime amministrative – è una metropoli cosmopolita, evoluta, dove i figli di Ataturk conservano memorie e dove l’Islam più oscurantista, estremo, non attecchisce ancora del tutto. Ma c’è l’Anatolia, ci sono i villaggi rurali cui tu ti appoggi per radunare voti, con la complicità dell’ignoranza e delle interpretazioni coraniche (sei bravissimo, tu, a fare della religione politica, sempre). E ci sono gli immigrati afghani, siriani, ecc. che abbagli con le promesse del tuo sultanato.
 
E a loro dei cani non frega nulla. La maggior parte è convinta che siano davvero impuri, che dopo averli toccati occorra davvero lavarsi le mani. E che portino disgrazie e malattie.
Purtroppo gli animali sono da sempre le vittime designate delle nostre superstizioni. Nel Medioevo noi abbiamo fatto fuori i gatti neri, del resto. Invece nei paesi islamici sono i cani gli sfortunati da da sempre perché Maometto non si è mai strappato un lembo di tunica per non disturbare il loro sonno (come pare abbia fatto con il suo gatto). Anzi, il Profeta pare dica in un hadit che se un cane entra in una casa gli angeli la abbandoneranno. Non sono così certa, io, che lo abbia detto davvero. Così come sono certa, invece, che nel Corano si parla anche della necessità di trattare bene gli animali perché i musulmani saranno giudicati da Allah anche per quello. Dunque non è mai stata una faccenda chiara, diciamoci la verità.
Certamente è per questo che la maggior parte dei cani vive in strada, e non dentro le case.
Ma che facciamo allora, adesso? Dentro casa no, e fuori casa neppure?
 
Istanbul è sempre stata segno e simbolo, per me e per molti altri viaggiatori di tutti i tempi, della pacifica, meravigliosa convivenza fra gli abitanti e i suoi randagi, completamente integrati nel tessuto urbano e sociale della città.
Da Santa Sofia a Eminonu, conosco uno per uno quei cani e quei gatti.
I cani turchi che abitano le strade sono piuttosto giganti, non c’è nessun nanerottolo come quelli che circolano invece da noi. Ma hanno un cuore così grande che tu ci affogheresti dentro. Sì, quella mole potrebbe intimorire qualcuno, eppure guarda, non ho mai visto nessuno preoccuparsi e scappare. Perché si vede, si vede da lontano che non farebbero mai male a nessuno. Vivono così, osservando i passanti, dormendo davanti alle porte, sui prati, giocando fra loro.
Istanbul senza i suoi randagi non è più Istanbul.
Tra l’altro la relazione di Istanbul con i suoi animali è molto antica. Sono sempre stati presenti, i cani randagi, e sono sempre stati accettati dalla popolazione, solo l’ultimo dei sultani, in linea con il decadimento dell’impero, nel 1910 li ha fatti deportare in un’isola lasciandoli morire di fame e di sete. Poi sono tornati ad abitare la città, come sempre. Perfino nella mia tela d’epoca compaiono i cani, sul ponte di Galata, insieme ai passanti.
La guardo e sospiro.
Nessuna grande città europea ha randagi in giro, sostiene chi apprzza la legge.  Verissimo, ma questo significa che nei nostri canili non vi sia dolore e, in alcuni casi, maltrattamento? Ho sempre detto che a Istanbul i cani vivono meglio che nelle nostre strutture. Sono liberi. Sono nati liberi, e devono vivere e morire liberi.
 
Il fatto di “non vedere” non elimina la polvere spingendola sotto i tappeti della civiltà? “Se i mattatoi avessero pareti di vetro saremmo tutti vegetariani”, scriveva Tolstoj. Bene, forse se vedessimo il dolore dei canili la smetteremmo di pensare a come siamo civili, con le nostre strade pulite e le cacchine raccolte dai proprietari. “ Il grado di civiltà di un paese si vede dal modo in cui tratta i suoi animali”, diceva Gandhi. Tutti, non solo quelli “di casa”.