Istanbul, a colpo d'occhio
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- Martedì, 17 Dicembre 2013
17 dicembre 2013
Spesso, quando vado a Istanbul, le persone mi chiedono "Ma come ti trovi?", "Come si sta lì?".
Quasi dovessi andare in una cittadella popolata da un gente rozza e piuttosto arretrata. "Mamma li turchi", dice qualcuno, purtroppo senza scherzare.
Questo, però, è soltanto l'immaginario di alcuni italiani che nulla ha a che vedere con la realtà di una metropoli che viaggia alla stessa frequenza di Parigi, Londra, New York (Roma e Milano, non pervenute).
Fa parte di un certo humus culturale tipico del nostro paese, incapace, a volte, di uscire da un certo snobismo "provinciale" e di vedere che accade realmente fuori dal nostro paese. Paese che sta scivolando rapidamente verso condizioni terzomondiste, mentre altre realtà, come la Turchia, stanno crescendo rapidamente. Le ruote girano, e i paesi si trovano a vivere strane situazioni (basta pensare al flusso migratori di italiani verso il Marocco e il Brasile per capire i cambiamenti epocali in cui siamo immersi).
Ma torniamo a Istanbul, ancora impigliata, insieme alla Turchia, in una serie di pregiudizi tutti italiani.
Divertenti, a volte, se non lasciassero in bocca il sapore triste della miopia di vedute e pensieri.
L'anno scorso, svegliandomi in hotel durante il mio ennesimo viaggio, mi sono ritrovata addosso una fastidiosa congiuntivite.
Non si aprivano neppure, gli occhi. Incollatil letteralmente. Con una buona dose di fatica, ho finalmente afferrato l'ipad cercando di capire come trovare un oculista. Di ospedali internazionali ce ne sono diversi, a Istanbul. Lì è certamente più facile per chi, come me, non parla la lingua turca.
Così, indecisa fra quello americano e quello tedesco, ho optato per quello tedesco, certa forse di una "ferrea" risposta, efficace e precisa. Difatti, dopo solo mezz'ora ero già lì, con tanto di appuntamento, dottoressa turca e traduttore.
Ho pagato soltanto 80 lire turche, 40 euro, più o meno. Diagnosi, medicine ed educate raccomandazioni.
Sorrido, pensando al panico di certe persone quando mi immaginano in una Istanbul semideserta, quasi attraversata da unni a cavallo.
Nella modernissima Roma, in cui vivo, faticherei ad avere appuntamenti così precisi, in tempi così brevi, in ogni tipo di ospedale. Roma è una città che fa stagnare ogni energia, perfino quella più motivata, perfino quella figlia delle efficienze internazionali che approdano qui, nella capitale (e che rallentano, si avvitano, cominciano, anche loro, a girare in tono, come un criceto nella gabbia)
E penso a quanto tempo debba passare prima che alcuni pregiudizi si abbattano.
Nel frattempo, Istanbul cresce, la Turchia si rafforza. E l'Italia diminuisce.