Ritorni
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- Giovedì, 21 Marzo 2024
Sono felice. Ogni volta l’energia di Istanbul mi porta su.
Mi accorgo che cammino sorridendo. Sempre. Lo faccio ogni volta. Sorrido alla vita, a tutte le me stessa che sono stata ( anche quelle che prenderei a parolacce), e a quelle che sarò. Il vento sul Bosforo ha un colore speciale. Ha un suo suono, un suo odore. È’ un vento che mi vuole bene, che srotola i pensieri dai miei capelli e li getta in mare, uno a uno. Istanbul mi allarga il respiro. E’ un amore.
Ritrovo ogni riga del libro che ho scritto. ‘ Istanbul. A volte un amore comincia così, con un suono. ‘Sì, ed è’ un amore che non si stanca mai. Ogni volta, all’arrivo, mi domando cosa può darmi al ora questa città in cui sono stata infinite volte.
E dopo pochissime ore, so già che anche stavolta il tempo non sarà mai abbastanza. Mai.
E già mi prende , e mi riconosce, quella nostalgia dolce che alla partenza dovrà affiancare l’idea di un nuovo ritorno.
Istanbul, che fare?
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- Giovedì, 17 Dicembre 2015
A quanti mi stanno chiedendo, questo periodo, se è pericoloso andare a Istanbul, rispondo dicendo che non bisogna lasciarsi afferrare dalla paura.
Bisogna partire, sereni.
Istanbul non è più pericolosa di altre città.
E ci attende.
Da sempre.
La via dei sufi
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- Venerdì, 29 Agosto 2014
"Da quando ho incontrato i sufi sulla mia via ho capito ce il viaggio è aspro, difficile, ma cintillante di promesse d'amore. Non sarei mai una buona discepola, io. Troppo impulisva, troppo emotiva per la stabilità. E anche troppo contraddittoria. Nell'universo spirituale dei sufi si diffonde l'odore della verità. Posso solo annusarlo, io, incapace di coglierne i fiori.
Ma è già bello sapere che c'è.
Ed è bello avere un amore da non possedere. Un amore lieve, ineffabile, che vive in uno spazio nascosto al quale, quando la vita mi sgualcisce, mi piega e mi strapazza, posso sempre tornare. E' il brivido solitario di una speranza appena intuita, un sospiro breve poggiato su una fantasia.
Il fuoco che brucia nel cuore dei sufi è troppo pitente per me, la mia fiamma è simile piuttosto a quella di un cerino: timida, minuscola, fragile. Ma so che quel fuoco c'è.
"Gli atomi danzano. Le anime, perse nell'estasi, danzano. All'orecchio, ti dirò, dove la sua danza le conduce.
Tutti gli atomi nell'aria e nel deserto lo sentono bene,come se fossero inebriati. Ogni atomo, felice o miserabile, è innamorato del Sole di cui nulla può essere detto".
Un giorno, forse, danzerò anche io.
(estratto da La mia Istanbul)
Istanbul: i bambini curdi di Suleymaniye
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- Martedì, 18 Febbraio 2014
Malgrado la povertà evidente si respira un'atmosfera di pace. I bambini mi fanno cenno, invitandomi a fotografarli. Avvolti nelle sciarpe, si dispongono sui gradini e puntano lo sguard verso un orizzonte che sembra infilato in uno spazio privo di tempo, gli occhi duri, affilati come coltelli, la bocca seria che si inghiotte il sorriso del'infanzia, trasformato in una linea perfetta, una geometria di voci adulte e remote.
Sembrano statue di sale, mescolate al bianco che continua a cadere. Non stanno posando, non stanno facendo "le facce da fotigrafo" di Wim Wenders nel suo Cielo sopra Berlino: nella loro immobilità sono spontanei, racocntano se stessi, la voglia di crescere, lo spazio fragile fra il mondo infantile e quello dei grandi, che a un certo punto si assottiglia come una porta corrosa da un tempo precoce su cui è passata, malgrado la giovane età, una moltitudine di inverni freddi e di arsure estive.
Sono in cerca della loro storia, quella che scriveranno da grandi. Eccoli, piccoli adulti imbacuccati nei vestiti colorati,afascinati alla macchina fotografica, esattamente come io sono affascinata da loro. Gliela consegno per lasciarli giocare ancora un po', e di nuovo il sorriso di bimbo si allunga finoa gli estremi de mondo mentre ci raduniamo in gruppetti per fotografarci a vicenda. Alcune donne si fermano, sorridono. "Kurdish", dicono indicando i bambini e loro stesse. Curdi, l'unica parola che riesco a capire.
Cudi. Un suono senza terra. Il suono di un popolo privato del diritto all'indipendenza, una ferita sparsa nelle geografie che appartengono ad altri
Mi vengono in mente alcuni versi che Hikmet, il poeta che amo da sempre, dedica a suo figlio Mehmet: "Non vivere su qyesta terra/ come fossi un inquilino/ oppure in villeggiatura/ nella natura/ vivi in questo mondo/ come se fosse la casa di tuo padre / crei al grano al mare alla terra / ma soprattutto all'uomo. / Ama la nuvola la macchina il libro / ma innanzitutto ama l'uomo. / Senti la tristezza / del ramo che si secca / del pianeta che si spegne / dell'animale infermo / ma soprattutto senti la tristezza dell'uomo".
Alcuni sono condannati, invece, a vivere per sempre come inquilini. Sono coloro ai quali la terra è stata negata. E forse è questo che riassumono i loro piccoli sguardi adulti, serissimi:la gioia di credere ancora al mare e alla terra sentendo però tutta la tristeza dell'uomo.
Ma la loro è una malinconia fugace, sottile come un fiato sul vetro. Conoscono il sapore dei momenti piccoli che sembrano schegge di sogni rimasti sulla soglia del giorno. la vita, qui, si accontenta di poco. E quel poco la riempie, le basta, diventa continenza che chiama la serenità.