I giorni di Gezi Park
8 giugno 2013
C'ero, nei giorni della polizia e dei lacrimogeni. C'ero e ho visto con i miei occhi. Ho visto ragazzi manifestare in pace, riuniti a Taksim, a Istiklal e a Gezi Park, per proteggere quegli alberi ma sopratuto per proteggere la loro libertà di espressione.
C'ero e ho visto uomini e donne, ragazzi e ragazze, tutti uniti da un filo comune, che si chiama solidarietà. Istanbul, la mia Istanbul, sta cambiando. Non so come finirà, ma so che è appena iniziata.
"All'inizio fu un albero", recita un foglietto appeso su uno dei tronchi del parco.
E quell'albero è diventato una foresta, e una foresta è diventata una città, e una città è diventata un pianeta intero.
Non ho visto violenza, ma solo tanta voglia di esprimersi, manifestare, come accade in ogni paese democratico.
Quando la polizia non attacca, Taksim è un luogo di festa. Si canta, si balla, si mangia. Ci si ritrova insieme sotto uno scopo comune.
Liquidare la faccenda come scontro tra musulmani e laici sarebbe pericoloso, e superficiale.
La storia è molto più complessa, come complessa è l'anima turca.
Di sicuro, soffia un vento ribelle. Ma è un vento buono, come il vento di Istanbul.
Non ho avuto paura mai, neanche di notte, neanche nel centro del parco, in mezzo alla folla.
Molti dormivano lì con le tende, per proteggere il verde e scongiurare il pericolo di uno shopping center.
Facevano i turni, dalla mattina alla sera.
Sono ancora lì.
Ho amici cari fra i manifestanti.
Amici che studiano, fanno i giornalisti, lavorano al cinema.
Fanno parte dell'anima laica, figlia di Ataturk, che vuole continuare a essere tale.
Non so come finirà ma so che sono giorni importanti, decisivi, in cui il popolo turco scrive la storia.
E spero che sia una storia bella, con un lieto fine.