Rumi, Francesco d'Assisi e l'Uni-verso.
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- Sabato, 11 Gennaio 2014
Chi, come Rumi, ha compreso lo spirito e trasceso la lettera, trova un linguaggio universale capace di parlare al cuore di tutti. Quel linguaggio che le religioni spesso faticano a trovare, impegnate a creare confini invece di abbatterli, ritenendo che ognuna sia la migliore, ognuna sia quella che detiene la verità assoluta.
Il misticismo, da sempre, rappresenta invece il veicolo sublime che ha unito l’Ovest e l’Est, l’Oriente e l’Occidente, facendolo sconfinare nell’Uni-verso. Un solo verso.
Ecco perché il linguaggio di tutti i mistici è così simile, ovunque, e così vicino. Abbatte le distanze che le religioni hanno costruito fra loro, le scavalca, diventa un ponte.
Dalla “notte buia dell’anima” di Giovanni della Croce alla povertà di Francesco d’Assisi fino ai versi di Rumi, che nelle sue poesie mistiche focalizza nel cuore l’unica, vera, religione possibile.
“Vieni, chiunque tu sia. Vieni. Sei un miscredente, un idolatra, un ateo? Vieni. Il nostro non è un luogo di disperazione, e anche se ha violato cento volte una promessa… vieni”.
Nel medioevo, un uomo persiano, vissuto e morto in Turchia, a Konya, anticipava così di secoli i movimenti spirituali che avrebbero rivendicato l’unità e l’uguaglianza dei vari messaggi racchiusi in tutte le religioni.
Ecco perché, all’interno di una moschea oppure smarriti nelle meraviglie del gotico, o, semplicemente, in un deserto, è possibile captare qualche segreto di quel “linguaggio alato” finalmente senza confini, etichette, attestazioni di verità.
Non è un caso che, mentre la Bibbia e il Corano possono indurre a temere un Dio che può essere anche vendicativo, che punisce chi si allontana dal giusto cammino tracciato per lui dalle Sacre Scritture, i mistici descrivono un Dio pieno d’amore verso il quale si percepisce il trasporto di un coinvolgimento incondizionato, reso libero da ogni tipo di provenienza, di dogma e di credo.
Ecco perché i sufi, ieri come allora, continuano ad affascinare tutti i cercatori sinceri. E quei curiosi che, nel loro viaggio di ricerca, vanno a caccia di analogie privilegiandole alle differenze.
Francesco D’Assisi e Rumi sono due fra gli uomini che forse ci hanno regalato di più, in questa direzione.
“Inchinati, lui è un derviscio”, disse la madre , una donna sufi appartenente a un ordine persiano, a un amico del quale, per rispetto e protezione, taccio il nome.
Lui era ragazzino ed era andato, con la mamma, ad Assisi. Si è inchinato, ha pregato davanti a quel derviscio d’Occidente con cui la donna avvertiva tutta la forza di una fratellanza universale.
Non ci pare strano dunque il fatto che, così come Rumi è amatissimo ovunque, richiamando ogni anno migliaia di persone in Turchia, sulle sue tracce, papa Francesco, che ha volutamente preso quel nome per testimoniare un messaggio preciso, sia così apprezzato a ogni latitudine e longitudine.
Abbiamo tutti bisogno di ponti, e non di barriere.
(articolo creato l'11 gennaio 2014)