Riflessioni sulle proteste di Taksim
Anche ieri sera hanno manifestato. E lo faranno di nuovo Lunedì.
Sono con loro, con gli attivisti. Sono con Görkem, Doğa, Ali, Goksel. Sono con tutti quei volti sconosciuti incontrati quei giorni, i giorni dell’occupazione di Gezi Park.
Ma ho altri amici, che supportano Erdoğan. Che mi inviano link e notizie per mostrarmi l’altra faccia di questo conflitto.
E io non mi tiro indietro. Discuto, dibatto, mantengo aperto il varco verso ogni dubbio.
Ma non posso sentirli chiamare çapulcu, chapullers, vandali. Protestare per la difesa di un’idea non è mai vandalismo. E’ modernità, civiltà. E’ accettazione della diversità.
Mi torna il mente il refrain con cui Berlusconi ha sfiancato i nostri giorni: “Comunisti”. Tutti, erano comunisti. E adesso Erdoğan fa la stessa, identica cosa. Se non lo sostieni diventi un capulcu, un vandalo. Il solo pensiero diverso che diventa nemico, che si trasforma in ostacolo da buttare giù. Che noia, sempre la solita minestra.
E allora va bene, sono una vandala anche io. Sono una vandala perché sostengo il rispetto, la diversità, la volontà di dire “no” quando non ci sta bene qualcosa. E, soprattutto, la possibilità di scendere in piazza senza essere menata, imprigionata, liquidata con un gas o un getto d’acqua, o addirittura ammazzata.
Intendiamoci bene, non è che la polizia nel resto del mondo sia tenera come un agnello. Versiamo ancora balsamo sulle ferite del G8, di quel lontano 2001 che pesa come piombo sul’anima, e tutti abbiamo davanti agli occhi le immagini degli agenti americani con i manganelli, che prendono a calci i dimostranti di Occupy Wall Street, delle cariche contro gli Indignados, del lancio di lacrimogeni contro i ribelli del Brasile. Per non parlare degli orrori di altre piazze che si sono incise nella memoria per sempre.
A Istanbul, però, in uno spazio breve come la memoria di un sogno la violenza è accelerata rovesciandosi addosso a vecchi, donne, bambini. Gente disarmata. Gente che al massimo agitava una bandiera.
Sì, mentre giravo a piazza Taksim ho visto un ragazzo con una pietra, una di quelle pietre con cui avevano costruito le barricate per impedire l’accesso alla piazza. Una pietra contro un bulldozer. Davide contro Golia.
Non era neanche protetto dall’elmetto e dalla maschera antigas. Se la polizia fosse arrivata, il suo piccolo, ridicolo sassolino non sarebbe riuscito neanche ad ammaccare una fiancata. Sarebbe rimbalzato sullo scudo di un poliziotto.
Se sono questi, i çapulcu. Se sono questi, i vandali. Se sono questi, allora, io sono una di loro.
Ma cerco, scavo, frugo perché mi sfugge qualcosa.
Perché so troppo bene che la realtà è sempre complessa, soltanto noi, con fare infantile, dividiamo i bianchi e i neri, e cataloghiamo le cose, così, come un archivio qualunque da mettere in ordine. E invece no, invece bisogna rovesciare i cassetti, cercare, confrontare.
Dietro ogni rivoluzione si agitano anime diverse, e diversi intenti.
Anche qui.
Dietro la mamma ecologista che protegge il suo parco, dietro il ragazzo che sente il fiato sul collo dell’Islam che potrebbe rovinargli la birra nel pub, dietro il ribelle di qualunque causa, purché ci si ribelli, ci sono sempre poteri occulti, nascosti.
Che, guarda caso, hanno quasi sempre a che fare con le banche e le finanze internazionali.
Di sicuro, un crollo turco fa bene a qualcuno. Così come l’agitazione del solito spettro “Islam contro Occidente”.
E perbacco ci si prova, ci si prova ovunque, ad arrivare alla grande battaglia, la madre di tutte le battaglie possibili.
Ci si prova anche qui.
Dunque io resto in attesa, leggo, ascolto, parlo con chi vive lì.
Mi arrivano notizie di attivisti pagati da banchieri e imprenditori, di conti in banca che hanno ricevuto versamenti internazionali.
Lo dice la stampa turca. Bene. Ma voglio le prove. Perché la stampa turca non è certo un modello di stampa sincera. Staremo a vedere.
Non escludo che ci siano forze nazionali e internazionali che stanno facendo il loro gioco. E’ sempre così, nella storia. E come sempre, pagano “gli innocenti”, quelli che ci mettono la vita e la faccia per un’idea, senza nessuna consapevolezza di ciò che si nasconde dietro le loro spalle.
Da un amico musulmano oggi ho ricevuto questo link
https://www.youtube.com/watch?v=ACyByaerJzQ
Ma, a fronte di questo, ricevo ogni giorno notizie di manifestazioni pacifiche, nate dalla voglia di organizzarsi per una democrazia più robusta, adulta, matura.
Non lo è ancora.
In Turchia, la democrazia vera deve ancora crescere, e camminare. E lo farà. Camminerà sulle idee, come accade a tutte le democrazie.
Spero solo che le gambe che adesso ne stanno portando in giro i primi vagiti non vengano falciate da una pallottola o, peggio ancora, da un autocarro della polizia.
Pudore, rispetto, dignità
Pudore, rispetto, dignità. Dobbiamo batterci per recuperare queste parole che, da noi, sono state svuotate di significato. Stanno bene insieme, si legano perfettamente. Ragioniamoci. In una società di cose esibite in piazza, mercificate, in cui perfno i sentimenti diventano consumo invadente, il pudore retrocede, scompare, si rintana in un cantuccio dell'anima. E le tante battaglie, anche femminili, per la diginità, una volta raggiunte sono rotolate via nello sfacelo di un modernissimo tempo in cui volano insulti, prepotenze, modi di fare da camionista, disprezzo per l'altro e competizione. Pudore, rispetto, dignità. Lo pretendiamo, ma siamo in primi a lamentare questa assenza. Coprirsi, non tanto con un velo, come una donna islamica, ma come ritrovato senso del non eccesso, della voglia di tenere l'ego al guinzaglio che freme e abbaia percné tutti sappiano tutto di noi, resituisce uno spazio privato, una "stanza tutta per sè" che abbiamo invece trasformato in un dormitorio comune, oggi.
Istanbul
Istanbul è un mosaico, il più bello dei mosaici possibili.
Difficile consigliare luoghi perché per ognuno è bello smarrirsi, e trovare da solo i propri luoghi.
Non sono gli stessi per tutti noi, mai.
C’è chi ama la vita globalizzata di Taksim, con le sue noti folli, piene di musica e birra, e chi invece si dondola nelle acque del Bosforo a bordo di un traghetto.
Altri invece si perdono nella parte asiatica, fra moschee e donne con il velo.
Per questo Istanbul è un viaggio nel viaggio, per la sua capacità di aprirsi su mondi diversi, vicini e allo stesso tempo distanti.
Il consiglio di viaggio migliore è quello di lasciarsi portare dal vento.
E’ il più grande conoscitore di segreti, il vento.
Lui sa di cosa abbiamo bisogno. E il vento di Istanbul è davvero un vento particolare.
Il vero viaggio
Un vero viaggio è sempre un'apertura verso il dubbio, verso ciò che non conosciamo. Non è mai la conferma di ciò che sappiamo.
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