Ritorni
Sono felice. Ogni volta l’energia di Istanbul mi porta su.
Mi accorgo che cammino sorridendo. Sempre. Lo faccio ogni volta. Sorrido alla vita, a tutte le me stessa che sono stata ( anche quelle che prenderei a parolacce), e a quelle che sarò. Il vento sul Bosforo ha un colore speciale. Ha un suo suono, un suo odore. È’ un vento che mi vuole bene, che srotola i pensieri dai miei capelli e li getta in mare, uno a uno. Istanbul mi allarga il respiro. E’ un amore.
Ritrovo ogni riga del libro che ho scritto. ‘ Istanbul. A volte un amore comincia così, con un suono. ‘Sì, ed è’ un amore che non si stanca mai. Ogni volta, all’arrivo, mi domando cosa può darmi al ora questa città in cui sono stata infinite volte.
E dopo pochissime ore, so già che anche stavolta il tempo non sarà mai abbastanza. Mai.
E già mi prende , e mi riconosce, quella nostalgia dolce che alla partenza dovrà affiancare l’idea di un nuovo ritorno.
RACCONTI DA TANGERI - CAP SPARTEL
C’è un punto in cui il mare Mediterraneo e l’Oceano Atlantico si incontrano, in cui uno scivola fra le braccia dell’altro. E in questo luogo due terre si scrutano.
La Spagna e l’Africa si bagnano nelle acque mosse dai venti e li riposano, private del peso delle frontiere. Liberate dalla gravità, si guardano senza invidia, senza ostilità. Colonialisti e colonizzati. Due universi distanti che il mare avvicina trasportando contaminazioni che viaggiano sui sapori del cibo, sulla geometria delle architetture, sulla musica che dall’Andalusia all’ Africa distende le note arabe sui suoni della terra africana. Ed è’ magia. Non più maRe, non più oceano. Non più Africa, non più Spagna. Cosa resta? Resta il mistero del luogo di mezzo.
Lo stesso che abita gli spazi bianchi fra le parole.
La ferita di Istanbul
L'attentato a Sultanahmet mi ha fatto riflettere sulla fragilità, ovunque, dei nostri passi.
Viviamo in un mondo che non ha più confini entro cui ripararsi. In nessun luogo, mai, saremo davvero al sicuro dalla follia di un uomo sempre più incline al precipizio, alla resa dei valori, alla convinzione atroce che uccidere, sfruttare, devastare sia la "norma".
La "banalità del male" è davanti a noi, con ogni evidenza.
E non riguarda solo i kamikaze, i terroristi, gli attentatori.
Riguarda anche il nostro "brillante" Occidente. Riguarda noi, tutti.
Perchè questo mondo va in pezzi.
Lentamente, ogni giorno.
Muore il pianeta, muore la parte più bella di noi.
Finchè non capiremo che dobbiamo ricostruire un progetto globale, finché non avremo chiaro che ogni cultura sta mettendo in gioco, nella scacchiera, mosse dannose per la conservazione dell'equilibrio su questa nostra terra ferita, allora non faremo che assistere a un progressivo, inarrestabile, peggioramento.
Arriveremo al declino assoluto, quello da cui non si torna indietro, mai più.
Istanbul oggi è ferita.
Paga, anche lei, il prezzo di una corsa assurda verso la distruzione totale.
Ma non dobbiamo dividere il mondo in "colplevoli" e "innocenti". Tutti, tutti noi, dovremmo farci carico del nostro pezzettino di responsabilità.
Se non altro, per quanto riguarda l'indifferenza.
Una delle responsabilità più gravi. Pesa, l'indifferena, quanto l'azione.
Anche il nostro tirare a campare guardando solo noi stessi, senza pensare a cosa ci accade intorno, calpestando in continuazione i semi che saranno cibo delle generazioni che verranno dopo di noi, produce, invoca responsabilità.
E questo vale sia per il nostro piccolo mondo (il nostro condominio, i nostri affetti, le nostre relazioni quotidiane, il nostro paese) che per il pianeta intero.
Istanbul è la ferita di una ferita più grande.
Fa parte di un massacro inesorabile, inarrestabile, che non ha confini geografici, né razze, néreligioni.
E' il massacro dell'uomo che non "vede" più, accecato dall'idea di uno sfruttamento continuo dell'altro, del globo intero.
Per fare e disfare a suo piacimento, ridisegnando terre, sfruttando, rubando, uccidendo.
Siamo tutti kamikaze, in un certo senso. Abbiamo ucciso valori, dignità, speranze, rispetto, onore. Abbiamo deturpato la natura, l'abbiamo violata, massacrandola insieme agli animali che la abitano.
Abbiamo, oguno con il suo piccolo contributo, generato il collasso di una società interà, quella umana.
Altro che "scontro di civilità".
Esiste una vergogna assoluta, che non salva nessuno.
Poi, certo, esiste una scala di maggiori o minori responsabilità.
Ma nessuno è innocente.
Istanbul?
Istanbul è solo un tassello.
Quante volte ho camminato in quella piazza, sostando davanti alla Moschea Blu, rapita dal volo dei gabbiani, di notte.
Mi sono sentita al sicuro.
Tuttavia una sicurezza relativa, perchè scortata, sempre, dal sentimento inquieto dell'appartenenza a un mondo incapace di contenere la sua barbarie, così contrastante con gli angoli di pace che monumenti, piazze antiche, cieli e mari ci sanno offrire ancora.
Noi non saremo al sicuro da nessuna parte, finché questo mondo, tutto, non si deciderà per un'inversione di rotta.
Abbiamo l'icerberg davanti a noi. Come il Titanic.
Ci ha già colpiti tutti.
Ma noi, non vogliamo vederlo.
E troviamo colpe ovunque, allontanando gli spettri, cercando sempre nuovi "demoni" da incriminare. Senza vedere che non ci sono bianchi senza neri, e neri senza bianchi. E che quei confini a volte si spostano, si mescolano, si scambiano il posto.
E finché non cambierà la coscienza globale, il futuro non sarà altro che un buco nero pronto a inghiottire l'orizzonte.
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